Il primo maestro

di Gianna Daniele

È stata una mattina buia; ha piovuto tanto e tanto forte che durante la prima messa i pochi fedeli hanno fatto fatica a sentire le parole del parroco; poi via di corsa a casa sotto le mantelle zuppe di acqua e di vento e i cappelli a tese larghe che riparano si e no gli occhi. Io non ho potuto sistemare le piante dell’orto, la terra era già fango ed ho dovuto subito rinunciare all’impresa; mia moglie mi guardava silenziosa dalla finestra e scuoteva piano il capo, pensando alla mia cocciutaggine; ormai i dolori alla schiena sono piuttosto forti, faccio fatica a chinarmi, ma la famiglia ha bisogno del mio aiuto e fino a quando ci sarò e sarò in grado di muovermi, farò il mio dovere.
Insomma ho preso anch’io il mio pastrano ed ho fatto una corsa in chiesa; visto che nell’orto non c’era nulla da fare, forse potevo suonare l’organo ed accompagnare la messa.
Fortunatamente avevo lasciato in canonica una maglia pulita, un paio di pantaloni e dei calzini; le scarpe le ho tolte tanto i piedi scalzi non li vede nessuno mentre suono.
E quando suono mi si asciuga addosso tutto, acqua, dolore, fatica, tristezza, la musica mi entra dentro e scalda ogni più piccola piega di me; entra dalle mani ed esce dagli occhi, passando per le braccia, la testa, il cuore. Io non so suonare, sono solo un meccanico della musica, produco suono col movimento delle dita e dei piedi; eppure basta questo, anche se poco, per portarmi fuori dalla chiesa, dalle Roncole, dal Ducato.
La messa è finita da poco e si sente ancora l’eco del suono nelle navate illuminate a malapena; ecco, il suono è infranto dal fragore di un tuono, poi la luce improvvisa di un fulmine; sì, Peppino oggi farà un esercizio sul temporale, buona idea, un temporale sull’organo della chiesa, poi un temporale sulla spinetta a casa; è un po’ malandata ma fa ancora il suo dovere.
Quel ragazzo ha qualcosa, ed è qualcosa che io non ho; lo vedo nelle sue mani, delicate, forti e decise; le dita seguono le note anche quando non sanno ancora cosa dovranno fare. E poi i lineamenti del viso; c’è una forza di volontà, una tensione al miglioramento, una piega che non ho ancora visto sul volto imberbe dei fanciulli che ho accompagnato finora alla scoperta della musica. Eppure ne ho visti di ragazzini, fra la scuola e la canonica; ma in lui c’è la spinta ad uscire dal mondo delle Roncole, lo sento.

Mi domando se sono all’altezza, il talento va guidato nella giusta direzione, e forse una spinetta ed un organo da chiesa non sono granché, forse anche io non sono granché per questo ragazzo. Quando arriva sento la musica delle sue scarpe su per le scale di legno; e la musica delle sue scarpe si accompagna sempre al fischiettare delle sue labbra ed al respiro affannoso e gioioso ed al buongiorno maestro che squilla forte e melodioso nelle mie orecchie. Ed io lo accolgo con un sorriso, sempre, perché il talento ha bisogno di sorrisi per riconoscersi.
Non potrò fare molto per questo ragazzo, e credo anche che il tempo che mi rimane non sia quanto vorrei, comunque potrò pensare di aver avuto un privilegio, un grande privilegio, di averlo aiutato a capire che si può guardare oltre i confini, che si può anche sperare di andare oltre questi confini, che forse i confini non esistono.
Ecco, lo sento, su per le scale, è già ora, è la sua ora, lui e la musica.
Non sento più i tuoni, uno squarcio di sole illumina l’affresco di là dal muro, i miei piedi sono ormai caldi, forse posso rimettermi le scarpe…



Immagine nella pagina:
Roncole di Busseto, casa natale di Giuseppe Verdi, busto del Maestro nel cortile
Fine.
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Aprile-Settembre 2008 (Numero 10)

Comune di BolognaCon il patrocinio del Comune di Bologna
Verdi seduto su una poltrona fatta con gli spartiti delle sue opere, caricatura di F. Bianco (particolare)

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