- Questa vita è uno schifo - borbottò prendendo nervosamente la borsa.
L'avrebbe usata in ospedale per recuperare gli oggetti personali di Mauro.
Dentro c’era di tutto, fazzoletti di carta, salviettine, un paio di ciabatte, un piccolo asciugamano macchiato di sangue, i trucchi, un mini ombrello ancora umido, il foulard.
Rovesciò il contenuto sul tavolo, accanto alle tazze ancora mezze piene di latte e tutto si mescolò alle briciole dei biscotti e dei croissant che aspettavano ancora tiepidi di essere mangiati.
- Accidenti! - imprecò rivolta alla tovaglia che si era impigliata nella fibbia della borsa.
- Laura, io vado. Appena sei pronta chiama gli zii e fai avvisare gli altri; poi chiama in dipartimento, senti se Franco è già lì e dillo anche a lui. Che nessuno mi chiami stamani, non so neanche se riuscirò a guardarlo. Non ho nessuna intenzione di mettermi a fare delle chiacchiere, intesi?
Laura uscì dal bagno con l’asciugamano in mano. Aveva gli occhi gonfi, i capelli arruffati, il pigiama ancora indosso; sorrideva appena, cercando di trattenere un’ondata di caldo che sembrava volesse esploderle da dentro da un momento all’altro.
Aveva voglia di abbracciarla, ma temeva la sua reazione, avrebbe potuto anche sbatterle in faccia la borsa. Non sarebbe stata la prima volta. - Ti accompagno, - propose - faccio in un minuto; ti posso essere utile.
Senza aspettare la risposta si diresse verso la sua camera, indossò gli stessi pantaloni che portava ormai da una settimana e che avevano l’odore inconfondibile dell’ospedale, la stessa maglia, la prima camicia pulita che trovò nel cassetto. Le scarpe erano ancora accanto alla porta, dove le aveva lasciate qualche ora prima. - Telefonerò a tutti mentre siamo in macchina, non ci sarà bisogno che tu parli con nessuno. - Franca aspettava sulla porta, gli occhi coperti dai grandi occhiali neri che le aveva visto indossare solo al funerale della nonna, i capelli spettinati, cercava nervosamente le chiavi nella borsa. - Andiamo - sibilò asciugandosi la guancia con il palmo della mano.
Guidava nervosamente, le dita bianche strette al volante, gli occhi fissi alla strada, sembrava non ascoltarla mentre telefonava a tutti dicendo che si, papà non ce l’aveva fatta a superare la notte, si, stavano andando in ospedale, ma mamma non voleva parlare con nessuno, per favore; si, potevano avvertire gli altri, avrebbe richiamato non appena avesse avuto altre notizie. Dopo ogni telefonata si asciugava le lacrime, tirava su col naso, si voltava verso Franca, che continuava a guidare come se lei non fosse esistita.