Nonostante non sia una brava cavallerizza, attraversa luoghi impervi a cavallo come fa ogni persona del luogo che trascorre
parte della sua vita in sella e coglie ogni occasione per rimanervi. Si riposa
in capanne di canniccio senza porte né serrature, senza che le succeda mai qualcosa di sgradevole. Le donne mostrano particolare interesse nei suoi confronti, soprattutto vanno in estasi di fronte al suo abbigliamento, d’altronde è la prima europea che vedono. E come accadde ad Amalia Nizzoli al Cairo (
v. Jourdelò n°16, apr-set 2010) dovetti spogliarmi molte volte per accontentare la loro voglia di provare il mio abito. In Abkasia si trova circondata da donne che lanciano gridolini di stupore mentre lei prepara
uno zabaione all’italiana per tirar[si] su.
D’altronde, ci informa,
la famiglia [è] un santuario in cui l’uomo rimane sulla soglia. Il mio sesso me ne aprì la porta. Tutto ciò che annoterà su questa regione sarà solo frutto delle sue eccellenti doti di osservatrice, poiché ignora totalmente la lingua locale e - osserva -
faccio fatica ora a crederlo, ma è vero, passai due mesi senza parlare.
In ogni luogo, dalle case raffinate ai villaggi sperduti, partecipa alle feste e a tutte le attività locali, compreso l’attraversamento di boschi popolati di orsi e, come una moderna antropologa, trascrive ogni dettaglio con cura.
Viaggiare con lo scopo di vedere e di studiare è una scienza - sostiene -
che, come ogni altra, sviluppa il desiderio di penetrarvi in profondità man mano che si procede.
Il Caucaso fu per me una rivelazione. Conoscerlo meglio e descrivere ciò che mi aveva colpito, divenne un’ossessione.
I suoi articoli sono pubblicati dalla prestigiosa rivista geografica francese le
Tour du monde a partire dal 1880. Nel 1881 dà alle stampe presso un editore parigino un volume di 376 pagine,
Mon voyage: souvenirs personnels. Nello stesso anno affronta un secondo viaggio nel Caucaso con lo scopo di fotografare ciò che vede.
Due volte - scrive -
ho rivisto questo enigmatico Caucaso che mi ha tanto interessato; due volte mi sono avventurata sola, fiduciosa, abbandonata alle mie uniche forze. Non l’ho rimpianto. Dappertutto e in ogni casa ho trovato la stessa ospitalità franca, cordiale che caratterizza i Caucasici; non lo dimenticherò mai.
Carla Serena muore di febbre malarica nel 1884 in Grecia. Leggendo i suoi scritti, non si possono non cogliere alcune ombre che gli storici non hanno ancora dissipato. Certo colpisce il coraggio e lo spirito di adattamento di questa donna appartenente alla buona società, che rinuncia alla vita comoda e ai begli abiti, ma soprattutto sacrifica gli affetti familiari.
Ignoravo - confessa -
che questo lavoro mi avrebbe richiesto il sacrificio di un’assenza così prolungata, la privazione di tutto ciò che dà gioia e piacere nella vita. Alcuni di questi sacrifici appaiono nella loro immediata evidenza: non solo l’anniversario di matrimonio trascorso lontano da casa di cui scrive nel suo libro, ma anche il mancato matrimonio di due sue figlie della cui sistemazione avrebbe dovuto occuparsi la madre, secondo le regole della società vittoriana e, soprattutto, la morte per parto della sua primogenita mentre lei era lontana.
Immagine nella pagina: Ritratto di Carla Serena