Partiamo dall’anno 1858, per poi andare a ritroso e in avanti nel tempo per quasi tutto l’Ottocento, a raccontare la storia del gioco del rugby, soprattutto i suoi inizi, la fase che chiamerei
romantica.
Anche se l’aggettivo romantico non sembrerebbe adatto a questo gioco, tutto zuffa nel fango, maglie strappate e nasi sanguinanti; tuttavia credo che questo aggettivo non dispiacerebbe ai molti estimatori, tecnici e appassionati giocatori che anche nel
rugby attuale riconoscono quei valori e riti tradizionali che ne hanno fatto uno sport dall’aria nobile e un po’ rétro.

Nel
rugby, infatti, il divertimento puro, l'onore riservato all'avversario, la lealtà, il senso della squadra, il rispetto delle regole senza vittimismi sono il fondamento del gioco. Tutto ciò coincide perfettamente con l’ambiente che gravita attorno ad esso, tanto che si può dire che esiste un
popolo del
rugby, coi suoi miti, i suoi codici e i suoi valori comuni, in cui ci si riconosce al di là delle diverse appartenenze di club o di nazione. E' per questo motivo che un incontro diventa di fatto una festosa
kermesse, con i tifosi delle due squadre spesso affratellati da un boccale di birra, in un clima lontano anni luce dai certi scontri da guerriglia dei ricchissimi sport mediatici.
D’altra parte basta vedere una partita dell’attuale
Sei Nazioni (un tempo 4 e poi 5 per gli ingressi graduali di Francia e Italia), torneo bellissimo giocato con le altre quattro squadre più
antiche -Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda - per riconoscere in questo gioco un profondo legame, con radici ottocentesche unite a elementi di contemporaneità.
Questa perfetta unione tra antico e moderno la si può facilmente riconoscere nelle cerimonie del pre-partita, dove l’attaccamento alle tradizioni - dell’area britannica soprattutto - fa mettere in mostra
kilt, cornamuse, bandiere e inni delle antiche nazioni del Regno Unito, i cui testi per la metà sono però contemporanei.